Marco.

 

“C’è chi mi giudica con molta cattiveria, ormai la tendenza è di far notizia con le cose negative. Ma ci si abitua a tutto: certi giornalisti, se li conosci li eviti, così non ti uccidono.”

Nasceva oggi, nel 1970, colui che ha fatto innamorare del ciclismo milioni di persone, un mito di cui vogliamo ricordare solo le cose belle, non per campanilismo o spirito patrio, ma per far sentire piccoli piccoli tutti gli appartenenti a quella schiera di viscidi che l’hanno spremuto con una bestialità tale da schiacciarlo, da portarlo ai piedi di una salita impossibile da scalare, anche per lui che le scalava tutte.

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Iniziò a pedalare quasi per caso, utilizzando la bici di sua madre, una pesante Graziella con la quale teneva testa a coetanei dotati di ben altri mezzi, Marco aveva 11 anni ed il suo talento si era già palesato.

Una carriera di sfide romantiche, eroiche, contro avversari che, come si scoprirà poi, per stargli dietro avevano bisogno “dell’aiutino”, che forse sarà stato utile in strada, ma che a nulla è servito a fronte dell’amore dei tifosi nei confronti di Marco, non ci sono aiutini per entrare nei cuori della gente.

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Fu l’ultimo autore della doppietta Giro-Tour, nel 1998. Come lui solo Coppi, Anquetil, Merckx, Roche ed Indurain.

L’unico, dopo Fausto Coppi, a vedersi dedicata una montagna al Giro d’Italia, la più rappresentativa, la più dura o semplicemente la Montagna Pantani.

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