Face to Face | Valerio Agnoli: “In Liquigas anni stupendi. Chi ancora si dopa o è un folle o è già su marte…”

Partiamo dalla stagione 2016, sei partito molto bene ma poi sono arrivati gli infortuni…
Sì, la stagione è partita molto bene perché ero reduce da un anno particolare: per una serie di ragioni ho dovuto correre fino alla fine di ottobre e questo mi ha fatto partire subito forte nel 2016. Poi purtroppo è arrivata la caduta del giro a far saltare tutti i piani, dovevo essere decisivo nella terza settimana, ma non ci sono neanche arrivato… nella seconda parte di stagione ho provato a recuperare, ma quando stavo per rientrare è arrivato l’incidente in allenamento in cui mi sono rotto una costola. Purtroppo nello sport serve anche molta fortuna e quest’anno non ne ho avuta.

Nel post in cui annunciavi il ritiro dal Giro hai usato parole forti come “vergogna” ed “umiliazione”, perché?

Mi sentivo parte integrante di quel gruppo ed abbandonare il Giro in quel modo non rientrava assolutamente nei miei piani. Non esiste aggettivo per descrivere quello che ho provato, forse “umiliazione” è riduttivo. L’unica cosa che volevo era arrivare a Torino, ma purtroppo le condizioni climatiche per i giorni successivi erano pessime ed il dolore era troppo forte per pedalare in maniera ottimale; subito dopo la tappa sono salito sul pullman e sono scoppiato a piangere perché avevo capito che l’infortunio era serio. Ricordo che Vincenzo passò la notte in bianco perché per il dolore deliravo nel sonno. Momenti pessimi.


Passando al futuro, che idea ti sei fatto del progetto del Bahrain?

Negli ultimi giorni abbiamo avuto modo di conoscere meglio il principe. Il suo progetto è quello di far conoscere nel mondo lo stato del Bahrain ed ovviamente lo sport è il mezzo migliore. Esiste già un Team Bahrain Endurance ed il principe stesso pratica triathlon, ma con un team ciclistico la visibilità aumenta. In Europa facciamo fatica a comprendere il modo di pensare degli arabi: per loro è importante dare l’esempio, se una figura importante come il principe posta una foto di un suo allenamento in bici è probabile che per emularlo altri inizieranno ad andare in bici, è così che cercano di diffondere la cultura sportiva. In molti non vedono di buon occhio l’ingresso del Bahrain nel circuito mondiale, ma ci troviamo in un periodo in cui gli unici sponsor davvero rilevanti sono Astana, una squadra praticamente statale, Katusha, che pur non essendo statale ha disponibilità economiche enormi, Movistar e Sky che sono dei colossi nei rispettivi settori, intorno a loro ci sono un’infinità di squadre che aprono e chiudono in continuazione. È per questo che bisogna credere in un progetto a lungo termine come quello del Bahrain.

In molti hanno criticato la scelta del mondiale in Qatar, ma tu eri tra quelli che difendevano questa scelta, perché?

Purtroppo in molti non vivono il ciclismo a 360°, ma ad oggi si corre davvero per tutto l’anno e in tantissimi paesi del mondo. Il mondiale in Qatar avrà avuto pochi spettatori lungo il percorso, ma è stato trasmesso su centinaia di reti televisive e magari potrebbe aver indotto una multinazionale di quelle zone ad investire nel ciclismo perché ti assicuro che il ritorno d’immagine che garantisce il ciclismo non ha eguali. Quando correvo in Liquigas venivamo aggiornati di anno in anno sulla crescita del marchio a partire dal suo ingresso nel ciclismo e ti posso garantire che lo sviluppo era imponente. Legare il nome di un’azienda ad un progetto ciclistico vincente vale molto più di tante pubblicità televisive:  pensa ai marchi Mapei e Fassa Bortolo, credo sia impossibile trovare qualcuno che non associ i loro nomi al ciclismo. Tornando al mondiale e al poco pubblico, ho visto arrivi di grandi giri quasi senza spettatori senza che nessuno si scandalizzasse o alzasse polveroni, in compenso credo che per un appassionato sia stato molto più entusiasmante il mondiale nel deserto rispetto a tutto l’ultimo Tour de France.

Capitolo doping. Si sente spesso di cicloamatori che abbandonano le granfondo quando si sparge la voce dell’arrivo dei NAS o di personaggi che le granfondo le vincono con l’EPO…

Credo che questo sia un grave problema culturale. Il fatto che arrivino i NAS ci fa capire che l’ambiente è particolarmente attenzionato, ma il fatto che le persone riconsegnino il dorsale è indice di malafede. Di base il doping è un controsenso, ma a questi livelli lo è ancora di più: devi spendere 100€ per una fialetta che ti farà vincere un prosciutto? Ma vai dal macellaio almeno il prosciutto te lo scegli! Purtroppo ognuno di noi fa delle scelte di vita, io ho scelto di andare a dormire sereno e godermi la vita, ma non tutti sono puritani… Chi fa scelte differenti dovrebbe sapere che è sempre madre natura a fare la selezione e che è inutile giocare a fare il grande atleta ad una granfondo quando nella vita si è persone piccole.

Non ho mai il piacere di pedalare con qualche cicloamatore, ma quando torno in Ciociaria ho il piacere di pedalare con un amico, Marco,  che non definisco cicloamatore perché sarebbe riduttivo, lui ama la bici e pedala per il piacere di farlo, senza tabelle, Strava o accorgimenti particolari. Si allena per tenere la mia ruota per qualche metro in più. Si gode il suo sport ed è quello che tutti dovrebbero imparare a fare.

Qualcuno porponeva di rendere tutte le GF “non competitive” per limitare il fenomeno doping…

Rimuovere la competitività farebbe perdere appeal di fronte agli sponsor. Il marchio viene non viene valorizzato dalla partecipazione, ma dalle vittorie e togliere la possibilità di vincere ridurrebbe gli investimenti.

E tra i professionisti c’è ancora chi si dopa?

Lo sport è molto simile alla vita, ci sarà sempre qualcuno che andrà avanti perché bara, perché è fortunato o perché ha agganci particolari, ma sono convinto che rimanga una cosa limitata sia nel tempo che nei modi. Guarda Lance, ha avuto carta bianca per anni, dopodiché hanno scongelato le provette e hanno distrutto tutto ciò che aveva costruito. Pensa cosa potrebbe accadere se fra dieci anni dovessero scoprire che Froome, Nibali o Rodriguez hanno utilizzato sostanze, resteranno sempre dei vincenti, ma la gente li ricorderebbe come “quelli che hanno rubato”. Sarebbe come cancellare tutto ciò che di buono hai fatto durante la carriera.Chi corre in un top team e si dopa o sta giocando alla roulette russa, con la consapevolezza che prima o poi verrà pizzicato, o a livello tecnologico è già su Marte.

Personalmente ho postato alcuni giorni fa la foto del mio calendario per l’antidoping, praticamente è una tabella nella quale si inseriscono tutti gli spostamenti che prevediamo di fare, tutti i luoghi in cui alloggeremo e gli orari in cui saremo fuori casa.

Praticamente vivete senza privacy…

Esatto, praticamente siamo ai domiciliari. Alcuni mesi fa ero a cena fuori  e all’improvviso mi chiama mia moglie per avvisarmi che a casa c’era l’addetto dell’antidoping, il quale pretendeva che rientrassi entro un’ora altrimenti sarebbe scattato il “mancato controllo”. Quando sono rientrato ho trovato questo signore che mi aspettava dentro casa mia, con mia moglie ed i miei due figli, ma purtroppo di questo se ne parla poco…

E il servizio delle Iene?

È difficile parlare senza sapere cosa abbiano realmente in mano, ma in quel controllo (quello del campionato italiano 2015, ndr) ci fu qualcosa di anomalo, solitamente agli atleti viene data la possibilità di scegliere uno tra i tre ed i sette kit antidoping disponibili, ma pare che quella volta ciò non avvenne, proprio a causa della mancanza di provette. Il problema è nato con la positività di Reda, uno che era appena rientrato da una squalifica, non un santo. Uno che al rientro da uno stop molto lungo riesce a fare secondo ai nazionali… ricordo che in gara Vincenzo mi chiese qualche impressione sugli avversari da tenere d’occhio e personalmente non riuscii a non fargli notare la pedalata di Reda, erano anni che non vedevo un corridore pedalare così “facile”… Ti accorgi subito se qualcosa non va, immagina se l’anno prossimo Valerio Agnoli vincesse il Giro d’Italia, capisci che ci sarebbe qualcosa di strano.

Quindi hanno messo in moto una macchina del fango?

Sì, stanno tirando fuori un’infinità di illazioni su Vincenzo. Ma ti dirò, per lui metterei la mano sul fuoco e se tra dieci anni dovesse venir fuori una sua positività farei davvero fatica a crederci. Temo che le Iene abbiano prodotto il servizio senza prima avere un quadro chiaro della situazione. Vincenzo ha fatto il controllo ed è passato per due volte davanti a Reda. Le dinamiche dei controlli sono legate prettamente a bisogni fisiologici, chi ha lo stimolo procede subito, gli altri aspettano. Vincenzo si sta muovendo per vie legali mentre a livello mediatico non ha esitato a mostrare sui social la busta contenente il referto del controllo. Chi chiedeva di mostrarne il contenuto probabilmente ignora che sul referto ci sono dati sensibili come ad esempio il codice della provetta, dati che vengono resi noti solo in caso di positività o di controversie legali.

Veniamo al Ciclismo Ignorante: il ciclista più ignorante con cui hai corso?

Ce ne sono di ciclisti ignoranti (*ride*) non posso dirtelo perché altrimenti mi vengono a cercare…

Invece quali sono stati i momenti più divertenti vissuti da quando corri?

In Liquigas si giocava a nascondino. Eravamo in ritiro a San Pellegrino ed una sera scherzando faccio “Raga giochiamo a nascondino…”. È finita con Marangoni chiuso in una busta della spazzatura che telefonava al ragazzo che lo stava cercando e gli diceva “Non mi troverai mai”, Sabatini nascosto in un cespuglio che apriva e chiudeva il cofano della macchina col telecomando, altri nascosti sotto delle panche sotto mucchi di coperte. Durante lo stesso ritiro con Sabatini e Dall’Antonia decidemmo di lasciare la macchina di Nibali su quattro blocchi di legno. Prendiamo il cric e iniziamo a svitare i bulloni. Non sapevamo che quel genio aveva inserito l’allarme volumetrico. Non è andata come avremmo voluto, ma Vincenzo non se la prese…

Altro episodio divertente fu la sfida in discesa tra Nibali e Basso: eravamo sul Teide e ci toccava scendere per una ventina di km, decidemmo che si doveva toccare a terra con la mano ad ogni tornante. Ivan neanche ci provò…

E Peter Sagan?

È come lo vedi. Spontaneo, molto umile, con la battuta sempre pronta. Una volta eravamo affiancati in salita, lui decide di impennare ma la sua ruota i incastra nel mio manubrio.  Se avessi avuto le mani basse mi sarei fatto parecchio male.

Durante uno dei primi anni da pro, mentre ci allenavamo in salita si attacca alla radiolina e fa “Mario (Scirea) ma è tutta così la salita? Devo tenere duro per forza?”. Ti lascio immaginare le reazioni di noi che eravamo a tutta.

Con Nibali invece c’è un rapporto quasi fraterno…

Sì, ho la fortuna di essergli vicino. È un ragazzo semplice e spontaneo. Malato di elettronica e meccanica, infatti ogni volta che devo sistemare qualcosa sulla mia bici mi rivolgo a lui. È il mio meccanico di fiducia…

La corsa più bella e la corsa più brutta che tu abbia mai corso? 

Togliendo i grandi giri, che di base sono tutti emozionanti, la gara più bella credo sia stata la Liegi-Bastogne-Liegi: se riesci a stare in gara, a rimanere sempre davanti, a lottare fino all’ultimo sa essere una corsa molto eccitante. La più brutta… mi verrebbe da dire il circuito internazionale corso in Corsica, zero emozioni, una gara che, nonostante ami la Francia, non sono riuscito a digerire.

C’è un ciclista al quale ti ispiravi quando hai iniziato a correre?

Beh, ai miei tempi girava tutto intorno a Pantani, nessun professionista della mia generazione non si è ispirato a lui. Riusciva a muovere il pubblico come mai nessuno prima. Forse solo Vincenzo sta riuscendo a raccogliere lo stesso affetto; a volte risente di questa pressione, dell’eccessivo affetto della gente, ma gli ricordo sempre che in Italia dopo Pantani c’è lui, “Vince’ se non volevi rotture di scatole non avresti dovuto vincere due Giri, Tour e Vuelta” .

Oggi i bambini vogliono essere come Nibali, ai miei tempi volevamo essere come Pantani. Sul doping ognuno si fa le sue idee, ma, come per Lance, credo che certi risultati non si ottengano solo per il doping, ma per doti che madre natura ti ha dato…

In chiusura, cosa chiede Valerio Agnoli al ciclismo?

La mia speranza è che ci siano più investimenti da parte degli sponsor, so cosa si prova a rimanere senza squadra e a doversi adattare ai contratti dell’ultimo momento. Sapere di colleghi che rimangono senza squadra mi fa male. Oggi il ciclismo è cambiato e merita maggiori investimenti.

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