Il 2018 di Alan Marangoni

Alan, una carriera che ormai va verso la fine…

Sì, dopo una serie di valutazioni avevo deciso di smettere già alla fine del Tour of Hainan, dove sono riuscito a salire sul podio come “più combattivo” nell’ultima tappa, sarei dovuto tornare subito a casa portandomi dietro la gioia del podio, ma poi mi hanno proposto di gareggiare ad Okinawa e hanno prevalso le emozioni: sto per smettere, non correrò mai più e mi sento in buona condizione, quindi mi sono convinto a chiudere la carriera tornando un po’ bambino, partendo per una gara con l’obiettivo di fare risultato ma senza pressioni; ad uno come me non capita tutti i giorni di partire per giocarsi il successo, nel ciclismo di oggi, se non ti chiami Valverde, Sagan o Nibali, non parti quasi mai per vincere, quindi ho voluto cogliere l’occasione e restare in ritiro qui in Giappone. D’altro canto non ho più niente da dimostrare, dopo venticinque anni di agonismo e dieci di professionismo credo di aver dato tutto: da piccolo andavo alle gare senza pressioni, per divertirmi provando a dare il meglio di me e voglio che l’ultima gara sia così, voglio correre per me stesso, in totale spensieratezza. Vivere qui in Giappone non è facile, sono da solo, senza squadra e mantenere la concentrazione per una settimana, allenandosi in solitaria è complicato, ma sono esperienze che aiutano a crescere soprattutto mentalmente. L’unico modo per sentirmi a casa è stato mangiare in un ristorante italiano, la carbonara ti riporta in Italia anche se la mangi in Giappone. 

* Alan, la prossima carbonara magari ce la facciamo a Testaccio *

Mi sono ripromesso di vivere questo ritiro senza patemi: sono una persona molto emotiva, ho fatto fatica a togliermi di dosso le scorie della tappa di Forlì del Giro 2015 perché quando ci sei dentro, quando nella vita non hai fatto altro che pedalare, vedi tutto in maniera distorta, il mondo gira intorno al ciclismo e finisci col dare alla competizione un’importanza che non ha, sono solo corse in bicicletta, ma quando ci sei dentro non lo capisci. Non vedo l’ora di iniziare la vita fuori dal gruppo per renderemi conto che la vita vera è altro.

E per il futuro?

Credo di restare in questo mondo, ma per ora sono totalmente concentrato sulla gara, poi penserò al resto.

Com’è vissuto il ciclismo in oriente?

Correre in Asia è estremamente difficile e ovviamente passare dal Fiandre al Giro di Thailandia farebbe perdere la motivazione a molti corridori world tour; dal cibo alla logistica tutto è più difficile, riso in bianco ad ogni pasto, alloggi ai limite del vivibile, trasferimenti di sei ore… più che corse a tappe sono delle avventure. Bisogna avere carattere per resistere in certe situazioni, personalmente non sono mai stato un talentuoso o un campione, ma per spirito di adattamento posso considerarmi un fuoriclasse. 

Tralasciando l’aspetto logistico, in Asia il ciclismo è una festa: in Cina abbiamo attraversate zone estremamente povere e degradate, per loro il ciclismo è un modo di rompere la quotidianità e vivere qualche ora o qualche istante diverso dalla routine, noti l’entusiasmo quando vedono il gruppo o la carovana anche se non hanno la minima cultura ciclistica, in pochi conoscono Peter Sagan, Chris Froome o Vincenzo Nibali; lì si corre per motivi prettamente economici, senza lo stimolo economico nessuna squadra si farebbe carico di una trasferta così impegnativa. In Giappone la situazione è molto diversa, gli eventi sono migliori ed il pubblico è molto più appassionato, ti rincorrono per autografi, per chiedere una foto o una borraccia ed hanno molto più tatto rispetto al pubblico europeo che a volte è meno rispettoso.

Quali sono le prospettive del movimento Giapponese, la Nippo ha investito molto in questo sport…

Beh, si punta ad una crescita totale del movimento, ovviamente non si può ancora puntare a grandi successi, al momento anche concludere gare di prestigio come mondiali o olimpiadi sarebbe motivo d’orgoglio, un punto da cui partire. Un problema è la mentalità abbastanza chiusa e poco propensa al cambiamento, anche fare stage in Europa è difficile: portare un ragazzo a migliaia di km da casa può causare un’involuzione, può spegnerlo, mentre per me vivere da vicino una cultura così diversa dalla nostra è stato motivo di crescita, mi sento molto più maturo, credo di aver fatto esperienze estremamente educative.

Volendo tirare le somme di un anno di ciclismo, cosa ti è rimasto di questa stagione?

Premetto che io non sono come Sagan, a me guardare il ciclismo piace tanto, le corse le guardo tutte e non mi spaventano 200km di diretta del Fiandre. Quest’anno è stato incredibile vedere Nibali vincere la Sanremo: forse qualcuno non ha ancora capito la portata di quel successo, uno scalatore, un uomo che ha vinto e punta a vincere ancora grandi giri, che porta a casa una Sanremo in quel modo non si rivedrà presto. Un altro successo bellissimo è stata la Roubaix di Peter: non mi spiego come mai l’abbiano lasciato andare, forse credevano che “sarebbe tornato indietro da solo”, che si sarebbe spento, ma è stata una vittoria enorme, al Fiandre era caduto nella tana del lupo, ingabbiato dai Quick-Step, alla Roubaix ha deciso di osare ed ha avuto la meglio.

In generale preferisco una gara tattica come una classica ad un grande giro corso con cruise control, l’eccezione di quest’anno è stato Froome al Giro, ha corso in maniera spettacolare; d’altra parte al Tour è andata diversamente, ma è una gara solitamente un po’ più noiosa.

Infine il mondiale: mi è piaciuto molto con una nazionale italiana che ha corso come doveva e un Moscon che inevitabilmente ha pagato il mese di stop mentre tutti erano reduci dalla Vuelta, forse se fosse rimasto con Dumoulin sarebbe andata diversamente, sicuramente si sarebbe giocato il podio e per il successo finale chissà, in ogni caso ha corso un mondiale eccezionale.

E dal 2019 cosa bisogna aspettarsi?

Nel 2019 mi aspetto un altro passo avanti proprio da Moscon, gli servirebbe un po’ più di libertà, mi dispiace vederlo lavorare lontano dal traguardo nei grandi giri, mi piacerebbe vederlo libero di correre per vincere, in autonomia;  da appassionato mi piacerebbe vederlo come uomo di punta in qualsiasi squadra perché è un corridore completo, chiude quinto alla Roubaix e al mondiale, nei grandi giri riesce ad essere sempre lì, se la gara viene corsa in un dato modo, può chiudere senza problemi in top 10, la sua completezza è rara nel ciclismo moderno. Sulla questione caratteriale qualcuno ha voluto calcare la mano: al Tour ha fatto un brutto gesto, ma non tale da arrivare mandarlo a casa, in gruppo si vedono cose molto peggiori, gomitate, pugni, roba che la reazione di Gianni non è nulla in confronto, inevitabilmente ha pagato le diatribe con la FDJ. Lo stimo e spero che il 2019 possa essere il suo anno.

Invece se fossi in Nibali eviterei di puntare tutto su una sola corsa perché come abbiamo visto l’imprevisto è dietro l’angolo. Quello che ha fatto quest’anno non è da tutti e correre una Vuelta dopo un intervento e dopo dieci giorni senza toccare una bici è una cosa che solo lui avrebbe potuto fare. Nel ciclismo di oggi ributtarsi nella mischia dopo un lungo stop è difficilissimo.

Capitolo doping?

Forse guardando il ciclismo da fuori non ci si rende conto che, rispetto a vent’anni fa, l’asticella si è alzata di molto, oggi tutti vanno molto più forte. Una volta c’erano quei quindici che correvano a livelli altissimi e tutti gli altri dietro, oggi non è più così.

Molti dicono che sia impossibile andare forte come quindici anni fa senza sostanze…

Chi lo afferma è un ******** perché non vede lo sviluppo tecnologico, tecnico e scientifico che c’è stato negli anni. Anni fa non c’era il potenziometro, la programmazione delle gare era molto meno scrupolosa, si iniziava a correre da gennaio senza nessun criterio. Oggi si bada al picco di forma, si valuta ogni dato, si dà importanza anche all’aerodinamica della bici, mentre prima la progettazione ed i materiali erano molto meno avanzati. 

Sulle sostanze non si deve credere che fosse l’EPO a far vincere i grandi giri, la differenza tra uno pulito ed uno “pieno” era a tratti trascurabile: il miglioramento attribuibile alla sostanza dopante oggi te lo danno tutti gli accorgimenti tecnici ed i marginal gains che vent’anni fa non esistevano. 

Mentre il doping meccanico?

Questo è un discorso diverso, le storie che sono venute fuori non possono essere state create dal nulla, oggi c’è più controllo e prima di fare qualcosa del genere bisogna pensarci bene, fossi un top team o un brand internazionale non metterei mai a rischio il mio futuro e la mia credibilità per una sciocchezza del genere, tuttavia non posso escludere che in passato sia stato usato perché la tecnologia c’era ma il controllo no…

In generale posso dire di aver visto un ciclismo bello, senza pratiche losche, sacche di sangue, fialette e così via. Ho corso con tanti campioni e nessuno mi ha mai fatto pensare a qualcosa di strano, da Viviani a Sagan passando per Nibali, Uran ed Hesjedal. In Liquigas non si scherzava, pretendevano la sicurezza che nessuno facesse stronzate.

Ovviamente la certezza non l’avremo mai, ma sono convinto di quello che dico.